note di sala per il concerto del 27 Novembre 2019
In Memoriam: "un ricordo"
Per il centesimo anniversario della Grande Guerra ed in memoria delle vittime di tutte le guerre: non una celebrazione, ma un vero proprio richiamo alla memoria della tragedia della guerra e dell’orrore della morte su così vasta scala. La scelta del titolo in latino è sicuramente legata al Requiem di Gabriel Fauré (1845 - 1924) in programma, per i testi e il suo proposito nell’ambito della funzione, ma anche perché il latino si configura come lingua franca, slegata dalle nazioni e dalle barriere, e lingua del credo nella vecchia Europa e della cultura. Una lingua senza fazioni che usata nella forma del Requiem ci accompagnerà nel ricordare. Scritto tra il 1886 e il 1887, iniziato per la morte del padre a Tolosa nell’anno precedente e concluso dopo la morte della madre, avvenuta quando l’opera era già quasi completa, il Requiem di Gabriel Fauré si configura come una delle più imponenti composizioni scritte dal compositore francese per la chiesa. Di un lirismo intimo, sommesso che rifugge ogni esteriorità e contrasto, tutto il brano è tinto di una malinconia molto umana che si esprime attraverso un raffinato uso dei colori, un canto sobrio e una profonda eleganza di esposizione: il canto di un uomo che ha preso coscienza della sconsolata impotenza dell’umanità di fronte alla morte, esprimendo così una accettazione dolente per quanto equilibrata. Proprio per evitare il tremito delle grandi passioni romantiche non trova posto in questo Requiem il Dies Irae, che Verdi e Berlioz avevano utilizzato per sottolineare il dramma religioso, spostando l’attenzione della liturgia musicale sul tema dell’eterno riposo. Il brano inizia con la parola requiem e con essa si conclude, attraversando un contrappuntistico Offertoire, un intimo Sanctus che la tradizione vorrebbe esultante, la pagina melodiosa e di parca orchestrazione del Pie Jesu, fino al tremito della parola tremens del coro nel Libera me e alla mutata atmosfera, più cupa, al richiamo del Dies Illa che subito scompare lasciando spazio all’ In paradisum. Forse proprio l’ultimo brano caratterizza appieno l’idea del compositore, facendolo liberare da ogni tentazione di conclusione drammatica, con la melodia del soprano che pacificamente si muove su un intreccio filogranato di organo ed arpa fino a spegnersi in un accordo di Re Maggiore, tonalità simbolo dell’archetipo dell’ascensione e della luce. Un Requiem che con le sue tinte non vuole certamente tracciare l’idea scura e lugubre della perdita, ma accompagnare i genitori, attraverso il ricordo amorevole di un figlio, ad un riposo pacifico non turbato dal giudizio divino. Rimane costante un tono di incanto infantile di evangelica ispirazione, che approda ad un’atmosfera luminosa ed immota, icona di pace perpetua. “Nè devoto né scettico” si definiva Faurè: in questo suo atteggiamento, lontano dalle passioni prepotenti dei romantici, sta la chiave della modernità della sua musica, musica che accompagnerà, in seconda esecuzione, anche lui nel 1924 al suo eterno riposo. Si accostano certamente per tema questa berceuse sulla morte e la famosissima elegia di Giacomo Puccini (1858 - 1924) intitolata Crisantemi. Per tema, sì, ma non per carattere. Se i toni del Requiem erano quasi sfocati e sommessi, in Puccini il melodramma italiano certo muove quella passione irruente che si scatena alla morte dei grandi personaggi che calcano i palcoscenici. Scritta nel 1890 in una sola notte, questa elegia per quartetto d’archi è dedicata alla memoria di Amedeo di Savoia duca d’Aosta. Costruito secondo uno schema ternario, in cui l’episodio principale denso di impeto lirico viene circondato da un tema più sommesso seppure sempre carico di dramma, il brano è carico di un’atmosfera di profonda mestizia che tre anni più tardi verrà rievocata, attraverso il riutilizzo di entrambi i temi, nell’ultimo atto di Manon Lescaut. La tonalità, do diesis minore, è esplicativa per la volontà del compositore di non avere risonanza degli strumenti, poiché priva delle corde vuote che per natura sono luminose e facili, scaraventando l’ascoltatore in un’atmosfera buia e faticosa. Crisantemi fu eseguita per la prima volta a Milano, in Conservatorio, dal quartetto Campanari il 26 gennaio 1890 e da quel momento rimane una delle elegie più amate. Ovviamente nella cultura italiana e in parte di quella europea, il crisantemo è il fiore simbolo della morte, ma più esplicativo è il termine elegia che deriva dal greco antico elegos con il significato di lamento funebre. Per quanto priva di parole la musica di Puccini, nel suo essere strumentale, richiama al lamento proprio come il Requiem. Per la grecità il lamento, oltre ad essere un momento di disperazione, era anche inteso come momento di raccoglimento e canto di memoria. Un modo per ricordare nel momento della separazione. Questo concerto vuole quindi essere un momento di riflessione e ricordo attraverso questi due immensi capolavori, poiché anche questa funzione è affidata alla musica: veicolare passioni e momenti racchiusi negli uomini che ci hanno preceduto e che attraverso la loro arte hanno affidato alla storia la loro umanità e il loro presente; un messaggio per tutti noi che viviamo l’ora, poiché un popolo senza memoria non può avere un futuro e questi giganti del passato ce lo stanno ricordando. Requiem.
«Mon Requiem [...] on a dit qu’il n’exprimait pas l’effroi de la mort, quelqu’un l’a appelé une berceuse de la mort. Mais c’est ainsi que je sens la mort: comme une délivrance heureuse une aspiration au bonheur d’au-delà plutót que comme un passage douloureux» (Il mio Requiem [...] si è detto che non esprime la paura della morte, qualcuno l’ha chiamato una ninna nanna della morte. Ma questo è come io sento la morte: come una felice liberazione un’aspirazione di felicità al di là, piuttosto che una transizione dolorosa)
Gabriel Fauré
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